Avendo avuto per circa trent’anni l’opportunità di visitare e vivere in tanti paesi del mondo, dal sud-est asiatico all’estremo oriente passando per l’asia centrale, e poi ancora dal Medioriente al Sudamerica, ho apprezzato e gioito della grande varietà di usi e costumi che rendono davvero uniche e belle tutte le espressioni culturali. Non per niente Shrii Shrii Anandamurti ha descritto l’umanità come una ghirlanda di fiori culturali, tutti meravigliosamente diversi.
Una cosa però ho notato essere sempre la stessa in ogni luogo: la convinzione degli abitanti di essere in qualche modo i fortunati membri della migliore cultura, paese, etnia, di avere la più bella lingua, tradizioni e perfino la migliore costituzione al mondo.
Come accade spesso, giudicare se stessi tende a non produrre una valutazione attendibile, poiché noi esseri umani facciamo fatica a vedere o riconoscere i nostri limiti e difetti, e a volte le nostre qualità.
La cieca convinzione che il proprio paese/nazione/città sia la migliore, viene indicata da Shrii Shrii Anandamurti con il termine geo-sentimento, cioè l’irrazionale attaccamento alla terra natia o comunque a un luogo collegato alla propria identità culturale, etnica o religiosa. A tale sentimento Shrii Shrii Anandamurti affianca anche il socio-sentimento.
Tali sentimenti non solo sono irrazionali ma anche molto dannosi perché, creando degli inutili complessi di superiorità, sono fonte di complicate giustificazioni per portare avanti guerre, oppressioni, genocidi. Questo tipo di violenze sono in effetti del tutto gratuite, poiché le differenze costituiscono appunto la bellezza dell’umanità, non la sua maledizione.
Purtroppo esistono persone senza scrupoli che utilizzano tali sentimenti limitati e limitanti per ottenere visibilità e potere. È infatti molto più facile stimolare e cavalcare le paure e l’egoismo della gente che la loro compassione, solidarietà, ospitalità, generosità e tante altre propensioni mentali che definiscono la nostra umanità.
Il metodo è sempre stato lo stesso: esaltare oltremodo le qualità del proprio popolo, razza, etnia, religione ecc., e creare un nemico fittizio, una minaccia che viene da fuori, esseri da considerare inferiori, perché solo disumanizzandoli si può poi opprimerli o sopprimerli senza tanti sensi di colpa.
In realtà ogni tipo di diversità è una risorsa, non uno svantaggio; è, infatti, il risultato del naturale adattamento a distinte condizioni geografiche e climatiche, dunque una conoscenza ed esperienza sviluppata nei millenni che contribuisce ad arricchire tutta l’umanità.
Per fortuna nessuno può negare che, ovunque si vada, il sorriso manifesti gioia e le lacrime esprimano sofferenza. Sulla base di tutto ciò che ci accomuna, bisogna costruire l’umanità 2.0. Un compito e una sfida davvero complessi, ma al tempo stesso alla nostra portata se iniziamo dall’unico punto di partenza possibile: noi stessi.
Le pratiche yogiche e il servizio altruistico sono, infatti, cardini della filosofia (rivoluzionaria) del cambiamento individuale, e strumenti universali comprensibili ovunque e da chiunque. Bisognerebbe quindi diventare degni ambasciatori del proprio luminoso futuro e fare in modo che il ruscello del cambiamento diventi un fiume in piena, capace di spazzare via tutti i sentimenti limitanti utilizzati per un immorale e disumano sfruttamento (psicologico o fisico) personale e di gruppo.
Dada Ganadevananda