Succede spesso di “spostare” le nostre responsabilità sugli altri, vuoi perché non ci piace ammettere i nostri limiti, vuoi perché per motivi sentimentali non riusciamo a vedere l’ovvio, cioè a razionalmente valutare la situazione e affrontarla nel migliore dei modi, da noi stessi se possibile, o altrimenti chiedendo aiuto a chi è in grado di aiutarci.

In una società che incita a primeggiare, in cui il debole viene visto come un fallimento, non è facile superare l’esitazione che ne deriva e chiedere aiuto, eppure nessuno ha tutte le risposte, le competenze e l’energia richiesta per affrontare le complessità della vita di oggi.

Per questo in una società ‘sviluppata’ (in termini economici) come la nostra, si nascondono in realtà molti disagi personali e si possono sempre trovare opportunità per aiutare chi ha bisogno ma non lo esprime.

Una volta Shrii Shrii Anandamaurti (fondatore dell’Ananda Marga) dichiarò una particolare data come la giornata mondiale del sadavrata, ovvero della distribuzione di cibo agli affamati. Un Dada (monaco dell’Ananda Marga) assegnato in un paese ‘ricco’ dell’Europa settentrionale, cercando di seguire tale istruzione cucinò un ottimo pasto ma ebbe grosse difficoltà a trovare qualcuno da sfamare. Alla fine riuscì a rifocillare un signore che poi volle assolutamente pagarlo, rovinandogli il servizio. Quando lo stesso Dada tornò in India per partecipare alla riunione di verifica del lavoro svolto, Shrii Shrii Anandamaurti gli spiegò che in tali circostanze non fosse la fame di cibo fisico quella di cui la gente soffriva, ma quella dell’anima.

Questo piccolo aneddoto secondo me chiarisce quale possa essere la direzione da seguire quando, per motivi di scarso tempo disponibile o difficoltà logistiche, non riusciamo a organizzarci per servire chi soffre nell’ambito fisico.

Come spiritualisti, infatti, non possiamo proprio esimerci dal metterci ogni giorno in gioco partecipando alla corsa del servizio altruistico, primo perché c’è ne è un gran bisogno, e poi perché abbiamo noi l’assoluta necessità di sublimare l’energia propulsiva creata dalla meditazione (e dalle pratiche yogiche), trasformandola appunto attraverso il servizio e il sacrificio personale a favore degli altri, in una sempre maggiore sensibilità devozionale.

Dada Ganadevananda