Da sempre ho cercato di riflettere su cosa volesse dire “essere delle brave persone”.

La prima qualità in merito, secondo Shrii Shrii Anandamurti (fondatore di Ananda Marga), è l’assenza d’ipocrisia, cioè la capacità di mantenere il parallelismo fra ciò che pensiamo, diciamo e facciamo. Purtroppo a causa dell’insicurezza che prevale e dell’influenza delle relazioni umane, succede spesso che si riesca solo a fare ciò che si dice, evitando però di esprimere il proprio pensiero per evitare delle grane, perdere delle amicizie o persino il lavoro.

Eppure tale biforcazione interiore è molto dannosa per chi vuole progredire spiritualmente, perché comporta una soppressione della coscienza, e se non si è onesti con se stessi, non si può essere se stessi. Questo spiega il senso di profondo sollievo interiore in chi fa coming-out, dopo aver nascosto per anni la propria omosessualità, per paura di essere meno amato dai propri cari, e/o discriminato dalla società.

L’essere diplomatici o silenti nei confronti di qualcuno che si comporta male, per non complicarsi la vita, è lo stesso atteggiamento dietro l’omertà nei confronti dei mafiosi: un perverso meccanismo collettivo che danneggia se stessi e gli altri e che, assunto in piccole dosi giornaliere, uccide la gioia interiore e la dignità sociale delle persone.

Ma allora bisogna essere sempre diretti nelle proprie espressioni e dire quello che si pensa? Si e no! Nel senso che comunque bisogna sempre applicare un principio yogico chiamato in sanscrito Satya. Esso consiste nel dire quello che si ritiene di dover dire, ma in modo da non ferire nessuno. Bisognerebbe porre una sottile attenzione ai sentimenti altrui, menzionando prima qualcosa di positivo della persona e poi puntualizzando delle possibili attenuanti al comportamento (negativo) in questione. L’esternazione del comportamento negativo altrui dovrebbe avvenire con  gradualità, per permettere alla persona in errore (che non ne fosse stata consapevole) di rettificare il proprio comportamento senza perdere la faccia.

In Giappone, dove ho vissuto per diversi anni, quest’attenzione è culturalmente la norma e, sia nelle relazioni personali e sia in quelle pubbliche, la gente ci tiene tantissimo a rispettare e proteggere l’immagine sociale degli altri. Potrei citare tanti simpatici aneddoti in tal senso, ma mi dilungherei.

Un aspetto invece assolutamente importante da ricordare quando esprimiamo una critica, è di assicurarci di avere l’attendibilità morale per farlo, cioè di non aver commesso anche noi lo stesso errore: in tal caso sarebbe più saggio starsene zitti e impegnarsi sinceramente a superare tale nostra mancanza, lasciando che sia qualcuno che è senza peccato a scagliare quella critica.

Ben venga l’atteggiamento culturale Italiano del ‘volemose bene’, ma se vogliamo il bene di qualcuno e/o di tutti, qualche volta è inevitabile dover assumere una posizione rigida o impopolare, che purtroppo può essere superficialmente scambiata per ostilità personale, quando in realtà è spesso l’opposto.

Probabilmente ci vuole coraggio e abnegazione personale per dedicarsi al benessere degli altri, ma se si ricerca la serenità interiore, essenziale per avvicinarsi alla meta, agire secondo coscienza è la strada migliore, se non l’unica, a nostra disposizione.

Dada Ganadevananda