È una naturale tendenza umana porre l’attenzione su ciò che vediamo: cose, persone, circostanze, insomma tutto ciò che è a noi esterno, impegnando le nostre facoltà mentali e fisiche per conoscere, comprendere e gestire il mondo che ci circonda.
Anche il comportamento degli animali segue lo stesso processo, ma con la fondamentale differenza che solo gli esseri umani sono in grado di contemplare il Sé, ovvero diventare consapevoli del proprio “essere coscienza”. Per tale motivo, secondo Shiva (un grande yogi vissuto circa 7000 anni fa), il requisito minimo per diventare aspiranti spiritualisti è appunto possedere un corpo umano.
Il corpo umano è uno strumento di straordinaria complessità e sofisticazione, un miracolo d’ingegneria biopsichica sviluppato e affinato in milioni di anni d’evoluzione, un tesoro d’inestimabile valore, che spesso diamo per scontato nonostante sia l’unico strumento utile per liberarci dalle nostre limitazioni e debiti karmici, e realizzare la nostra vera identità infinita.
La maggiore difficoltà è proprio invertire quel flusso d’attenzione psichica, superando la tendenza a processare solo pensieri che direttamente o indirettamente hanno a che fare con qualcosa di esterno (oggetti materiali o persone) rispetto al nostro essere. In altre parole, grazie alla meditazione e alle pratiche yogiche, è possibile sospendere il flusso continuo di pensieri verso oggetti (e persone) esterni a noi, ed abbracciare un unico, introverso ed infinito pensiero: il Se infinito .
Chissà quanti yogi e yogini hanno contribuito negli ultimi diecimila anni a sviluppare le tecniche e lo stile di vita utili a superare la tendenza estroversiva della mente umana. Un tale contributo è davvero d’inestimabile valore, perché perennemente utilizzabile da chiunque senta il desiderio d’andare oltre la lotta per la sopravvivenza, di superare l’effimero piacere prodotto dall’appagamento dei sensi e di andare oltre la temporanea felicità di soddisfare qualcuno dei tanti e continui desideri della mente.
Che inebriante sollievo finalmente sentire il richiamo della meta spirituale percorrendone il sentiero, tirandoci su ogni volta che inciampiamo cadendo, sorridendo irrefrenabilmente alla vita e abbracciandola per quello che essa è: una rarissima opportunità di scoprire e gioire l’infinito in noi stessi e in tutto il creato.
Dada Ganadevananda